Una storia

Scorrono le mani sulla stoffa fredda, la consumano impercettibilmente, con la voglia di afferrare ciò che si cela al di sotto.
Più caldi venti sulla pelle hanno fatto da cornice a corpi desiderosi d’amore, come i nostri, sotto il bagliore di stelle artificiali e occhi spenti. Amore? Desiderio? Ingordigia? Può tutto essere e al tempo stesso non essere? Indefinite emozioni lavate da parole senza significato, senza alcuna verità.
Non mi ricordo della prima volta in cui ti ho visto, forse perché alla fine non sei mai stato lo stesso, come un camaleonte ubriaco, molto ubriaco, che cambia colore con il vento e dimentica di essere stato rosso quando torna il verde, quando nasce un altro giorno e porta con sé il sole.

Con il delirio in testa, la vista offuscata, ti osservavo, e la mia mente ancora si chiede il mistero dietro quel messaggio sussurrato, riservato a qualcuno che aveva provato la mia inesperienza prima di te. Una sfida o un permesso? Forse un consiglio? Un segreto portato via dalla musica e da cocktail annacquati dove tutti abbiamo cercato di affogare noi stessi, senza sosta, per quei mesi che sono stati eternamente veloci.
Mi guardavi, sorridevi.
Ti guardavo, arrossivo.
Non lo ricordo neanche il come, ballavo, ridevo, ti osservavo e sfuggivo a quegli sguardi, quei corpi, che non volevo più lasciar avvicinare mentre mi porgevo a te, come chi tende una fune a un cieco, e le nostre labbra, non so come, si trovarono tra la folla. Mi avevi vista, forse lo avevi già fatto quando io ancora non avevo impresso il tuo viso, e chissà cosa diresti ora che lo sto dimenticando, mi hai dato la tua aria togliendomi tutta l’aria del mondo.
“Seguimi”.
Dita che si intrecciano, umide, fredde, dita che reggevano bicchieri pieni, abbandonati su casse pulsanti, ora impegnate a non dividersi se non per toccarsi il cuore.
“Non ci credo alle tue parole”.
Ridevi, ridevi e mi baciavi, e toccavi il mio corpo come se ti appartenesse ma lasciandolo comunque a me, al mio controllo. Mi baciavi e pensavo che non mi piaceva come lo facevi, però mi piaceva come ti incastravi con i miei desideri, come non perdevi tempo in chiacchiere, mi accarezzavi e le tue carezze erano pesanti, bruciavano sulla mia pelle, e mi aggrappavo a te, ancora e zavorra, salvezza e danno.

Accarezzo questo corpo, ora, sola, ripensando alle parole che, come il fumo di una sigaretta, sono svanite disperdendosi nell’aria, rendendola solo più pensante, ed io, ascoltatrice passiva che si porterà dentro lo sporco delle tue cazzate per sempre, resto in silenzio, dimenticando il tuo viso, dimenticando il tuo nome, dimenticando le notti fredde scaldate solo da baci dall’aspro retrogusto di un addio perenne.

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